2/18/2008

Lettera a l'Unità (sull'Unità)

Oggi a Roma, alle 14,30, nella sede della FNSI, si svolge l'Unità day (sic!), manifestazione di solidarietà per il giornale l'Unità, impantanata in una trattativa di vendita confusa. Quello che è chiaro, è che ormai da tempo l'attuale proprietà non cura e non ama il giornale, e si vede. Ma la solidarietà è molto diffusa, e sul giornale di oggi c'è un primo elenco di adesioni. Molti gli scrittori italiani (già collaboratori, anche, de l'Unità). Qualunque sia il nuovo proprietario, se ci sarà, esiste ora un comitato di garanti rappresentato da Clara Sereni, Furio Colombo e Alfredo Reichlin. A loro ho consegnato (impossibilitato ad esserci) questo mio messaggio di adesione da leggere durante la manifestazione, che incollo qui di seguito:
"... oltre ad onorarmi di essere stato un collaboratore del giornale – soprattutto delle sue pagine dette culturali - dal 2001 in poi, ricordo l'ultima occasione in cui ho indirizzato una lettera pubblica sull'argomento “Unità”, ovvero a commento della valanga di lettere che arrivavano al giornale per cercare di contrastare l'allontanamento di Furio Colombo dalla direzione. “La posta in gioco”, come la chiamai allora, di quell'evento, è una cosa che non si può rimuovere o dimenticare: sorta di buco nero nella coscienza dei lettori e di chi ha avuto nei confronti dell'Unità responsabilità dirette: la proprietà innanzitutto, e il partito di riferimento.
Qualcuno tra i presenti è in grado di dire con parole semplici e non imbarazzanti a cosa fu dovuto quel “cambiamento”? Ci provo io. Fu un fastidio istituzionale (politico, partitico) nei confronti di un giornale (di sinistra) che lanciava parole d'ordine, che faceva opinione. Era troppo aggressivo? Forse. Ma qualcuno, molto miope, scambiò la sua autonomia e autorevolezza come un limite, e il successo dell'Unità come una minaccia.
Ricordarlo non è un esercizio retorico né polemico: il declino – calo di vendite, ma non solo - ha inizio da quella data. La fiducia dei lettori – il poeta Coleridge la chiamerebbe “sospensione volontaria dell'incredulità”, willing suspension of the disbelief – si è incrinata allora, con conseguente allontanamento di parte di essi. Si è dissolta la possibilità dei lettori di identificarsi, non solo politicamente ma anche esistenzialmente, moralmente e culturalmente, con il giornale. Tutto ciò ben prima di quella che con una scorciatoia viene detta oggi anti-politica, e che significa invece disincanto.
Nei suoi primi anni di vita la nuova Unità presentava anche questa caratteristica rilevata dai sondaggi: il fatto che tra le prime ragioni di acquisto del giornale c'erano le pagine della cultura, “Orizzonti”. Erano le pagine degli scrittori italiani. A ripensarci, faccio fatica a identificare chi dei migliori scrittori non vi abbia collaborato; così come, incontrando amici scrittori in giro per l'Italia, ero testimone della simpatia e adesione che riscuoteva l'Unità, considerata unica nel panorama imbalsamato o del tutto commercializzato delle pagine culturali degli altri giornali, anche autorevoli.
Ormai lo sappiamo tutti: non si compra un giornale soltanto per sapere che cosa è successo - per questo basterebbero Internet e la televisione - e ognuno conosce la sensazione di déjà vu, anzi di già letto, che ci riservano le prime pagine. Compriamo e leggiamo un giornale per sapere come è successo quello che è successo, e questo come, che è spiegazione, analisi, commento, è soprattutto una promessa di qualità e di stile di linguaggio. Di allargamento degli orizzonti delle cosiddette notizie. La cultura, parafrasando Pound, è fatta di news, notizie, che restano tali anche dopo averle lette.
Ma la proprietà, dimostratasi già permeabile e influenzabile dal partito politico di riferimento, ha progressivamente e vistosamente disinvestito nel giornale. Un disinvestimento economico e affettivo: nonostante i sempre annunciati nuovi piani per il giornale, è stato tagliato tutto il tagliabile, dal numero delle pagine ai budget per i collaboratori. Che idea di futuro può trasmettere il giornale a queste condizioni?
Mi piacerebbe che si dibattesse, all'interno e non all'esterno de l'Unità, il giornale che si vorrebbe.
Il patrimonio del giornale è nelle energie di quella rifondazione che ha riportato nelle edicole un quotidiano con una forte identità di sinistra, libera e plurale, che lo distingueva da tutte le altre testate, e una ricchezza di sperimentazioni di linguaggi che accorciavano la distanza tra chi scrive e chi legge. L'auspicio è che chi abbia le condizioni di sostenerlo non perda altro tempo; che sospenda, durevolmente, l'incredulità".

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Peccato per la censura della farsa impostata ieri. Lo prendo come un invito ad articolare meglio le relazioni, a continuare il gioco da solo per poi comunicarne i risultati.
C'era, comunque, un legame, tra la mia nota e quella del "fondatore di discorsività", Sebaste, titolare del marchio sotto il quale questa massa di valori monetari "usurate", le parole, circolano. Legame che riconosceva la sua paternità e la devianza, simpatica, del figlioccio che allunga la catena paterna. La rubrica sotto la quale potrebbe andare questo legame é: frammentazione e decostruzione. Mi spiego
"L'interesse del giornale ormai non é piu dato dall'informazione, ma dalle diverse curiosità di cui un giornale si compone: i punti di vista, i modi di lettura dei pezzi di realtà che il cronista strappa al loro contesto per farli assurgere al regno della Storia". (Sebaste-Benjamin).
Il sito di uno scrittore "sempre all'erta", uno capace di farsi portare alla deriva dal significante, mi era parso un buon luogo per praticare uno smontaggio senza rimontaggio di un "dato": l'assenza d'amore a Guantanamo.
Ma forse il censore é stato bravo, il suo é un invito all'articolazione. (Inutile dire che i condannati sono degli smidollati, e che queste dotte conversazioni non lo sono meno).

Anonimo ha detto...

Confesso di non capire granché di questo commento, e anzi nulla delle sue intenzioni. Approfitto per confessare che sopporto sempre meno i commenti anonimi (ovvero neppure firmati alla fine delle parole). Beppe S.

Anonimo ha detto...

un equivoco. Ce ne sono di fruttiferi e di non fruttiferi. Se avessi tempo, e voglia, di riscrivere il posto, misteriosamente scomparso, da me pubblicato ieri, si potrebbe verificare l'efficacia di questo equivoco, prolungarlo, ma non ne ho. Buona giornata. Ares.

Anonimo ha detto...

News Anonime ed esibizioniste

E' difficile scrivere. Spesso succede che le parole si portino dietro una lunga storia, altrettanto spesso succede che la perdano. A volte il concetto è espressione di una precisa parola, altre volte non è niente di quello che sembra e me ne rammarico, continuando a leggere, sfoglio le pagine di un libro e cerco di capire l’autore. “Tu non hai storia” le ho detto quando mi ha lasciato. E' difficile scriverlo, come pensarlo. Si vorrebbe scrivere qualcosa di intelligente sempre, o che persuada gli altri… come quando si crede di avere un’idea geniale. Ma questo succede spesso inspiegabilmente. Scrivere è difficile quanto vivere: si vorrebbe scrivere ciò che non si può, come si vorrebbe vivere un’altra vita. Si desidera abitare altrove e scrivere altre cose, si vorrebbe un mestiere che non è il proprio mestiere, un volto che non è il proprio volto. Riscrivere storie già scritte o più semplicemente riscrivere la Storia: incontrare e accogliere in ‘casa propria’ persone gradite come avviene con le parole sui ‘blog’ che si specchiano in un gioco perverso. Innamorarsi anche, ed essere ricambiati dalle persone e dalle loro parole…forse più dalle loro parole che da loro stessi:"No, quando scriverò un libro non mi ricorderò di te!", è l'ultima cosa che lei mi ha detto. Ma tutto ciò non ha senso. Fino ad apprendere notizie da un giornale che non si considera più il ‘proprio’, quindi leggerne altri in cerca di notizie. Diversi giornali ogni mattina: foglietti di carta oppure schermi luminosi, incartamenti, fredde lapidi, documenti, un muro: cercare casa, farsi una famiglia, lavorare. Leggere: incontrare metafore vive, sconosciute, senza provenienza; ricordare quelle morte. Mi chiedo il senso di certe parole, come di certe persone. Spesso me lo chiedo senza controllare da dove vengano, cosa facciano che volto abbiano come succede anche di notte: parlare, chattare e ‘corrispondere’ senza essere ‘corrisposto’. Ma tutto ciò è surreale: niente a che vedere con lo ‘scrivere’.
Il perché ce lo dice Beppe, quando conclude le sue risposte con un saluto paradigmatico:
“fatti vivo!”.

Un saluto da Davide Tedeschini

Anonimo ha detto...

Sì, ma la solidarietà all'Unità? Nessuno la sente? Possibile? Eppure è (o era) l'unico giornale di sinistra. Il PD se ne frega, Veltroni pure. E gli altri?
Paolo G.